lunedì 10 maggio 2010

L'Io e il Sé. L'ineffabile necessità della trascendenza




“Se io non sono me stesso, chi lo sarà per me? E, se non ora, quando?”
(Massima ebraica della raccolta Pirke' Avoth, nel Talmud)


Fin dalla sua nascita 'ufficiale' dalle esperienze cliniche di S.Freud sulle pazienti isteriche (ma prima di lui avevano preparato il terreno altri luminari della neurologia dediti all'ipnotismo, come i francesi J.M.Charcot e P.Janet) che troverà espressione nel lavoro del 1895 degli 'Studi sull'isteria', la psicoterapia 'moderna' ha avuto come obiettivo manifesto il raggiungimento di una condizione di maggiore 'benessere psichico', o se vogliamo il ristabilimento di una certa armonia interiore, attraverso un lavoro di chiarificazione, interpretazione, scavo interiore attuato per mezzo della parola autentica, di una visione del proprio percorso esistenziale che potesse essere condivisa e resa più comprensibile dalla presenza sullo sfondo di 'un altro' (il terapeuta), testimone e al contempo garante di un mondo di significati e di senso. Su un piano meno esplicito e più 'tecnico', l'obiettivo del 'benessere' potrebbe tradursi con il raggiungimento di una maggiore integrazione nella propria personalità di aspetti di sé un tempo rimossi, negati, scissi, proiettati, comunque sottratti – attraverso il ricorso al sintomo ed alla patologizzazione – alla possibilità di un più consapevole confronto con il nostro Io cosciente, che in tal modo risulterebbe invece arricchito ed ampliato da elementi vitali ed energie profonde.
Freud, con suggestiva metafora spazio-topologica, scriveva come col procedere della psicoterapia l'Io cosciente dovesse strappare progressivamente e annettersi i selvatici e sterminati territori dell'Es (“..Wo Es war, soll Ich werden.”), apportandovi – questo era il senso delle sue parole – cultura e civiltà. Chiaramente, la metafora freudiana va inserita in quel particolare contesto storico e culturale di inizio secolo scorso (o meglio a cavallo tra '800 e '900, in cui Freud viveva), in cui un certo spirito di conquista intellettuale, di 'colonialismo' ad oltranza – potremmo dire – di certi aspetti egoici collegati alla volontà ed alla razionallità, trovavano una loro diretta corrispondenza nei grandi progressi scientifici della medicina, della biologia, della fisica. E la psicologia sembrava allora potersi inserire tra queste più blasonate discipline, ricorrendo a concetti e paradigmi già utilizzati dal positivismo scientifico di fine 'Ottocento.
Le cose non andarono proprio così e la psicologia fu costretta per alcuni versi a rivedere quei desiderati orizzonti 'di gloria' (sub specie scientifica!) recuperando la soggettività dell'individuo, la sua 'interiorità' e 'unicità' (o se usassimo la terminologia della psicologia archetipica potremmo dire senza remore: 'la sua anima'), ponendoli al centro delle sue interrogazioni e ricerche al pari dei suoi comportamenti 'oggettivamente' quantificabili e misurabili. E tutto questo grazie comunque a quella peculiare concezione di fondo della psicoanalisi secondo cui la storia personale e le vicissitudini dei primi e primissimi rapporti tra sè, gli altri e il mondo conferiscono ad ogni individuo una impronta costante, inesauribile, inalienabile...
L'esigenza di individuare il ruolo di una dimensione ulteriore e sovrarazionale, quindi distinta e inglobante lo stesso Io soggettivo, è stata in particolare recepita da C.G.Jung, contemporaneo di Freud, ed espressa con la sua teoria psicologica essenzialmente fondata sulla concezione del “Sè”(mentre, a quanto è dato sapere, fu in campo filosofico che tale termine fece la sua prima comparsa, ad opera dell' inglese John Locke che sul finire del '600 indicò con 'the self' quel modo peculiare in cui la realtà personale appare al soggetto nell’autoriflessione).
Oggi tale visione 'allargata' del nostro apparato psichico, costituito cioè da una dimensione egoica inclusa in quella del Sè, appare ormai implicita e universalemente riconosciuta dai diversi e molteplici orientamenti teorici in psicologia, psichiatria, filosofia e sociologia.
In particolare, a partire dagli ultimi anni '50 il termine è stato così sistematicamente utilizzato da autori e clinici in ambito psicologico per indicare una modalità esistenziale e temporale ampliata in cui il vertice di osservazione non è più quello dell'Io individuale, con le sue 'umane' parzialità e limitazioni, ma quello relativo ad una prospettiva longitudinale e sintetica, in cui obiettivi minori e contingenti cedono il passo a progettualità e strategie 'a lunga scadenza' e in stretto contatto con più profonde motivazioni 'spirituali' e scelte esistenziali (la psicologia archetipica di derivazione junghiana, ad es., ha proposto delle metafore suggestive per definire questa condizione di 'inclusione' del nostro Io in una dimensione superiore e oltrepersonale; quando si parla di 'chiamata del daimon', di 'vocazione', di 'destino', in realtà si fa qui riferimento a tale dimensione esistenziale ed alla sua dilatata caratterizzazione spazio-temporale rispetto al più limitato angolo visuale della coscienza individuale).
Ogni approfondito percorso psicoterapeutico (come ogni autentico processo di conoscenza che conduca ad una evoluzione e alla crescita della personalità, fin dai tempi in cui sul portale del tempio di Delfi campeggiava il monito pindarico del “divieni ciò che sei”) si fa portavoce di quella esigenza naturale della nostra mente, di quel bisogno psichico che mira ad una condizione di maggiore trasparenza e consapevolezza interna, così come alla realizzazione delle intime potenzialità dell'individuo e di gratificazione delle sue peculiarità pulsionali e di quelle creative e 'spirituali'. Ciò sposta il discorso in una ottica sostanzialmente diversa rispetto ad una concezione fin troppo moderna e disinvolta del 'benessere mentale' in quanto assenza (sempre relativa, ovviamente) di conflitti psichici e di problematiche di rapporto che si vogliono magari semplicemente ed onnipotentemente risolti 'per delega', affidando temporaneamente al terapeuta la totale gestione di quel 'motore inceppato' che scorgiamo nel disfunzionamento della nostra mente: è in sostanza il modello medicalistico e meccanicistico (oggi, come ieri, in realtà molto in voga!) centrato sulla cura esternalizzata del corpo, in cui la mente è considerata anch'essa un 'pezzo', una ruota di un ingranaggio che 'dovrebbe' girare in sincronia con tutte le altre, e invece ci crea ostacoli e si ribella ostinata alla 'ragione'...Ciò che non riusciamo a vedere in questi casi è quanto la nostra ottica risenta di un siffatto modello meccanicistico e quanto si sia affidata ad una pseudo-razionalità anch'essa permeata di abitudini mentali e precetti morali, che spesso invece non sono altro che conformismo, senso comune, de-responsabilizzazione e rifiuto di una reale crescita interiore.
Centrare il discorso sul Sé, al contrario, sposta la visuale psichica in una dimensione 'altra' rispetto a quella vissuta nel quotidiano. E' una forma 'laica', se vogliamo, di trascendenza, ma soprattutto è riconoscere il ruolo fondante e anticipatore dell'Inconscio nella costruzione della personalità e prefigurare la possibilità di una sintesi armonica tra Io e non-Io, in un rapporto tra individuo, mondo interno e mondo esterno in cui emergono come centrali i riferimenti alla natura 'spirituale' dell'uomo ed in cui anche la dimensione fideistica (nella sua accezione più vasta) assume una primaria importanza.
Possiamo in conclusione pensare che tale bisogno di autenticità e di integrazione nella propria personalità cosciente di aspetti ancora indefiniti del Sé, risieda nella struttura stessa della mente umana e che tale processo si possa 'attivare' in qualsiasi momento della nostra vita, come per altri versi durante una fase di profondi cambiamenti interiori, di perdite e lutti significativi, attraverso la percezione di una condizione esistenziale di disorientamento e di intima sofferenza o in seguito ad una acutizzazione di sintomi, costellando una dimensione che prima ancora di essere esternalizzata ed oggettivata in un dato percorso psicoterapeutico è 'auto-terapeutica', cioè interna e già psicologicamente dinamicizzata.
In tale condizione emotiva interiore, la richiesta fatta allo 'psicologo' diviene la modalità di dare corpo e concretezza ad un orientamento della psiche che è già in qualche misura all'opera, rispondendo a sollecitazioni endogene evolutive e di crescita individuale, nell'ottica della realizzazione del proprio 'Sé' in quanto struttura più ampia e comprensiva del nostro 'limitato' Io cosciente.